(A proposito di Camus)
La rivolta e
l’intransigenza che l’avvicinano a
Calvino
Di Antonio Debenedetti
Camus è un mito, un amore, un partito preso. Piace senza se e
senza ma, piace anche a chi ne ha sentito parlare senza averlo letto. E’ un
contagio: a un secolo dalla nascita e a
oltre mezzo secolo dalla morte è vivo nell’aria morta della letteratura. Le sue
frasi trafiggono la ragione come spade di gelida luce.
Non possiamo sottrarci a Camus quando scrive: «Il senso
dell’assurdo, alla svolta di una qualunque
via può cogliere
qualunque uomo. Il suo fascino è in una geniale, apparente contraddizione perché, come ha
scritto Montale, al solito ineguagliabilmente lucido, «il suo nichilismo non
esclude la speranza, non dispensa l’uomo dal difficile compito di vivere e di morire con dignità. Solo un grande riesce a spiegare un altro grande con tale semplicità.
Albert Camus è dunque lo scrittore francese,
l’intellettuale nel senso più
pieno del termine più coccolato
oltre che ammirato dai lettori
italiani . E’ anche una moda che resiste
come raramente resistono le mode, è una bandiera. E’ l’espressione d’un gauchismo libero e ribelle di cui le nostre
generazioni, le generazioni con i capelli bianchi, sentono la nostalgia. E i
giovani, quanti fra loro hanno il suo nome sulle labbra? Credo che pensino a
lui come a un altro scrittore, stavolta italiano, di statura diversa e meno
manifestamente contagiosa.
Intendo riferirmi a Italo Calvino. L’autore delle bellissime Lezioni americane come l’autore dello Straniero sono manifestamente quelli
tra i maestri del Novecento che più
piacciono alle nuove generazioni
alle loro impazienze di rottamatori del tempo perduto (quello di Pasolini, gettonatissimo, è un caso diverso). Che senso ha accostare Camus e
Calvino? Non hanno niente in comune. O invece sì, qualcosa comune ce
l’hanno. Qualcosa che li riguarda come
uomini, figli fino in fondo all’anima del loro tempo. Vediamo. Per entrambi la morte è arrivata
prematuramente, a passi di lupo,
consegnandoli al rimpianto della storia prima che le ombre dei ripensamenti
crudeli d’un uso e abuso della
propria figura pubblica e della propria
intelligenza potesse guastarne l’immagine. Ecco che cosa hanno in
comune, un modo di affrontare la vita impegnato e severo, che rispecchia una
intransigenza all’occorrenza sfumata di moralismo. L’intransigenza delle generazioni che ereditarono dai padri, dai
fratelli maggiori il maquis, la Resistenza, un mondo libero, ma da ricostruire
dopo la barbarie nazifascista. Proprio in
quella luce Camus e Calvino avrebbero fatto i conti anche con lo stalinismo con un comunismo che aveva tradito i suoi
ideali. I giovani sentono, leggendoli, che dietro le loro pagine c’è una svolta decisiva compiuta dalla
letteratura del secolo breve. Un mutamento di prospettiva che li convince.
A quei giovani che
vogliano saperne di più intorno
all’autore dell’Uomo in rivolta suggeriamo
oltre a quella esaustiva Olivier
Todd, edita anni a da Bompiani
una più recente biografia. Si intitola
Albert Camus. Una vita per la verità. L’ha
scritta il rumeno Virgil Tanase e l’ha
pubblicata adesso l’editore Castelvecchi che ha anche raccolto alcuni testi di Camus,
inediti in Italia, nel volume Il calendario della libertà.
Todd è un testimone diretto, insostituibile: ha raccontato
Camus da complice, da amico, da critico letterario e da analista del costume.
Ci porta nel suo mondo, che era anche quello di Simone de Beauvoir e di Sartre,
cui si deve un insuperato saggio su L’etranger (Che cos’è , si chiedeva Sartre,
l’assurdo di Camus? «Niente altro che il rapporto dell’uomo con il mondo»).
Nelle pagine di Todd vediamo sfilare davanti a noi, descritti con l’occhio di
chi deve bilanciare un eccesso di giustificata partecipazione con i doveri
dell’obbiettività, personaggi quali Gide, Malraux, Merleau-Ponty, i Gallimard,
eccetera. Tanase, grande estimatore di Camus, fruga viceversa nella vita
privata dello scrittore, descrive le sue disavventure professionali con
l’imparzialità dello storico.
Ricostruisce a tavolino, lavoro assai utile quando venga fatto con scrupolo
come qui, la figura pubblica di Camus. Amori, polemiche letterario-politiche,
qualche pettegolezzo. Insomma un po’ tutto di questo maestro nemico delle
cattedre, morto senza essersi piegato ai compromessi del successo, che ebbe a
dire «Io mi rivolto, dunque noi siamo»
(parte di un articolo del Corriere della Sera, pubblicato il 31
ottobre 2013)
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