lunedì 28 luglio 2014

Camus. Calvino. (Antonio Debenedetti)


(A proposito di Camus)

La rivolta e l’intransigenza  che l’avvicinano a Calvino

Di Antonio Debenedetti

 

 

Camus è un mito, un amore, un partito preso. Piace senza se e senza ma, piace anche a chi ne ha sentito parlare senza averlo letto. E’ un contagio:  a un secolo dalla nascita e a oltre mezzo secolo dalla morte è vivo nell’aria morta della letteratura. Le sue frasi trafiggono la ragione come spade di gelida luce.

Non possiamo sottrarci a Camus quando scrive: «Il senso dell’assurdo,  alla svolta di una  qualunque  via  può  cogliere  qualunque uomo. Il suo fascino è in una geniale,  apparente contraddizione perché, come ha scritto Montale, al solito ineguagliabilmente lucido, «il suo nichilismo non esclude la speranza, non dispensa l’uomo dal difficile compito di  vivere e di morire con dignità. Solo un  grande riesce a spiegare un altro  grande con tale semplicità.

Albert  Camus è  dunque lo scrittore  francese,  l’intellettuale nel senso più  pieno del termine  più  coccolato  oltre che ammirato  dai lettori italiani . E’  anche una moda che resiste come raramente resistono le mode, è una bandiera. E’    l’espressione d’un  gauchismo libero e ribelle di cui le nostre generazioni, le generazioni con i capelli bianchi, sentono la nostalgia. E i giovani, quanti fra loro hanno il suo nome sulle labbra? Credo che pensino a lui come a un altro scrittore, stavolta italiano, di statura diversa e meno manifestamente contagiosa.   

Intendo riferirmi a  Italo  Calvino. L’autore delle bellissime  Lezioni americane come l’autore dello  Straniero sono manifestamente  quelli   tra i maestri del  Novecento  che più  piacciono alle nuove generazioni  alle loro impazienze di rottamatori del tempo perduto   (quello di Pasolini, gettonatissimo, è  un caso diverso). Che senso ha accostare  Camus e  Calvino? Non hanno niente in comune. O invece sì, qualcosa comune ce l’hanno.   Qualcosa che li riguarda come uomini, figli fino in fondo all’anima del loro tempo.   Vediamo. Per entrambi la morte è arrivata prematuramente,  a passi di lupo, consegnandoli al rimpianto della storia prima che le ombre dei ripensamenti crudeli  d’un uso e abuso della propria  figura pubblica e della propria intelligenza  potesse  guastarne l’immagine. Ecco che cosa hanno in comune, un modo di affrontare la vita impegnato e severo, che rispecchia una intransigenza all’occorrenza sfumata di moralismo. L’intransigenza delle  generazioni che ereditarono dai padri, dai fratelli maggiori il maquis, la Resistenza, un mondo libero, ma da ricostruire dopo la barbarie nazifascista. Proprio in  quella luce  Camus e  Calvino avrebbero  fatto i conti anche con lo stalinismo  con un comunismo che aveva tradito i suoi ideali. I giovani sentono, leggendoli, che dietro le loro pagine c’è  una svolta decisiva compiuta dalla letteratura del secolo breve. Un mutamento di prospettiva che li convince.

 A quei  giovani che  vogliano saperne di più  intorno all’autore dell’Uomo in rivolta suggeriamo  oltre a  quella esaustiva Olivier Todd, edita anni  a da  Bompiani  una più  recente biografia. Si intitola Albert  Camus. Una vita per la verità. L’ha scritta il rumeno  Virgil Tanase e l’ha pubblicata adesso l’editore  Castelvecchi  che ha anche raccolto alcuni testi di  Camus,  inediti in  Italia,  nel  volume  Il calendario della libertà.   

Todd è un testimone diretto, insostituibile: ha raccontato Camus da complice, da amico, da critico letterario e da analista del costume. Ci porta nel suo mondo, che era anche quello di Simone de Beauvoir e di Sartre, cui si deve un insuperato saggio su L’etranger (Che cos’è , si chiedeva Sartre, l’assurdo di Camus? «Niente altro che il rapporto dell’uomo con il mondo»). Nelle pagine di Todd vediamo sfilare davanti a noi, descritti con l’occhio di chi deve bilanciare un eccesso di giustificata partecipazione con i doveri dell’obbiettività, personaggi quali Gide, Malraux, Merleau-Ponty, i Gallimard, eccetera. Tanase, grande estimatore di Camus, fruga viceversa nella vita privata dello scrittore, descrive le sue disavventure professionali con l’imparzialità  dello storico. Ricostruisce a tavolino, lavoro assai utile quando venga fatto con scrupolo come qui, la figura pubblica di Camus. Amori, polemiche letterario-politiche, qualche pettegolezzo. Insomma un po’ tutto di questo maestro nemico delle cattedre, morto senza essersi piegato ai compromessi del successo, che ebbe a dire «Io mi rivolto, dunque noi siamo»

 

(parte di un articolo del Corriere della Sera, pubblicato il 31 ottobre 2013)

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